Diane Arbus è una delle figure più controverse della fotografia documentaria del XX secolo, conosciuta in particolare per la sua opera di critica sociale.
In realtà il suo nome era Diane Nemerov, nata in un’agiata famiglia di commercianti ebrei di New York nel 1923, ma prese il cognome del marito Allan con cui iniziò una relazione a 14 anni e che poi sposò a 18 anni, nel 1941. Fu lui a regalarle la prima macchina fotografica, una Graflex, così Diane si iscrisse ad un corso di fotografia della New School in cui insegnava Berenice Abbott, una famosa fotografa statunitense.
Diane e Allan Arbus iniziarono così a dedicarsi alla fotografia, prima per la pubblicità del negozio di abbigliamento che la sua famiglia aveva sulla Quinta Strada, poi collaborando con le più importanti riviste di moda come Vogue e Harper’s Bazaar.
In seguito, dal 1955, studiò insieme alla fotografa austriaca Lisette Model per due anni, che influenzò molto il suo lavoro futuro. Nel 1959 si separò dal marito e decise anche per un cambiamento di macchina fotografica: scelse una Rolleiflex biottica di medie dimensioni, che le permetteva di guardare le persone che fotografava invece di coprirsi il volto per guardare nel mirino.
Gli anni sessanta furono i più produttivi per lei, cambiando completamente i soggetti da fotografare. Esplorò i pericolosi bassifondi di New York alla ricerca dei personaggi da ritrarre, tra cui vi erano prostitute, travestiti, nudisti e nani. Nel 1967 partecipa alla mostra “New Documents” insieme a Lee Friedlander e Garry Winogrand, facendosi conoscere ad un pubblico più ampio ma continuando anche a lavorare per importanti riviste, ritraendo celebrità come Jorge Luis Borges e Mia Farrow.
Dopo un periodo di depressione Diane Arbus si suicidò nel 1971. L’anno successivo la sua opera è stata selezionata per partecipare alla Biennale di Venezia, divenendo così la prima fotografa statunitense ad avere questo privilegio. Nello stesso anno il MoMA di New York (Museum of Modern Art) organizza una grande esposizione itinerante negli Stati Uniti ed in Canada, che attira oltre 7 milioni di visitatori. Successivamente grandi retrospettive dedicate a Diane Arbus vengono allestite anche in Giappone, in Europa occidentale e nei paesi del Pacifico.
L’opera fotografica di Diane Arbus
Oltre alla Model e altri fotografi frequentati, influì molto sul lavoro di Diane Arbus il film Freaks di Tod Browning del 1932, ambientato nel mondo del circo, popolato da personaggi bizzarri che definiamo “fenomeni da baraccone”. Lascia così gli eleganti modelli delle riviste di moda e scegli di ritrarre personaggi ai margini della società per le sue fotografie: malati mentali, persone disfunzionali, gemelli, travestiti, etc.
I personaggi guardano direttamente verso la macchina fotografica, consapevoli di essere ritratti, con una inquadratura quasi sempre centrale che non tiene conto delle regole di composizione e con l’intenzione di produrre nello spettatore paura e vergogna. Per mettere ancora più in evidenza i difetti delle persone ritratte, la Arbus usa il cosiddetto “flash di riempimento” ed è considerata una pioniera nell’utilizzo di questa tecnica.
Diane Arbus inizia così a mostrare una realtà poco conosciuta ma non in modo spettacolare, quasi drammatico, dove attraverso le sue fotografie cerca di far sentire la sofferenza della differenza, il divario sociale di chi viene considerato diverso. La società non è costituita da persone tutte belle e forti, ma è diversificata, ricca di sfumature e imperfezioni.
È una delle prime fotografe di denuncia sociale, la prima a portare realismo in un mondo fotografico bello e perfetto. Ha cercato di andare oltre la superficialità estetica prevalente, un modo nuovo di vedere le cose nella struttura sociale nordamericana, ancor più sorprendente se si pensa che è stato realizzato da una donna negli anni ’60 dello scorso secolo.
Le rivelazioni più cupe nella nuova biografia
La biografia più diffusa e conosciuta su Diane Arbus è quella di Patricia Bosworth pubblicata nel 1984 “Diane Arbus: A Biography”, un bel documento sulla vita della fotografa e sulla sua arte.
Ma una nuova e più approfondita biografia è stata pubblicata dallo scrittore e giornalista Arthur Lubow: “Diane Arbus: Portrait of a Photographer”, un documento in cui trovano spazio nuove rivelazioni ed ipotesi piuttosto cupe, come il trauma che ci sarebbe dietro le immagini inquietanti del suo lavoro. Per esempio l’incesto: “Come Howard riconobbe in seguito, lui e sua sorella sperimentarono sessualmente quando erano giovani”, sotto una tenda costruita con coperte e poltrone come si fa nei giochi da bambini.
L’autore sostiene che questa particolare situazione continuò per tutta la vita della Arbus, fino alla fine. Nel tentativo di far fronte alla depressione, negli ultimi due anni della sua vita visitava regolarmente uno psichiatra a cui rivelò la relazione sessuale con il fratello Howard, iniziata nell’adolescenza e mai terminata, fino a poche settimane prima della sua morte.
In 12 anni di ricerche, Lubow ha intervistato amici, amanti e collaboratori della fotografa, ha trovato corrispondenza inedita, ha analizzato più di 150 fotografie e parlato anche con i soggetti fotografati, una grande mole di lavoro mai svolta prima della pubblicazione di questo libro.
Come solitamente fanno gli eredi, la figlia Doon Arbus ha scelto però di non approvare questo lavoro.