Il contributo del Giappone al mondo della fotografia non è limitato all’aspetto tecnologico, dove ha il predominio assoluto nella produzione di macchine fotografiche, ma il paese del Sol Levante ha avuto grandi fotografi che ispirano i più giovani con una particolare estetica.
Un importante punto di svolta nella fotografia giapponese è avvenuto a seguito della Seconda Guerra Mondiale, quando il suo popolo molto tradizionalista è stato quasi obbligato ad una crescita economica ed industriale rapida, originando inquietudine nella società. Emersero nuove forme di espressione fotografica per documentare quel cambiamento sociale, così diversi fotografi giapponesi divennero conosciuti e celebri nel resto del mondo.
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La fotografia in Giappone
Nove anni dopo l’invenzione del dagherrotipo in Francia, la fotografia arriva in Giappone nel 1848 ed esprime il suo esotismo nelle immagini che vengono scattate, finché non divennero i giapponesi gli autori in grado di scattare le fotografie.
Da allora ci fu subito un graduale sviluppo della produzione delle macchine fotografiche in Giappone e nel 1862 i primi fotografi giapponesi avevano il proprio studio per i ritratti nei porti di Nagasaki e Yokohama. All’inizio del XX secolo il numero di fotografi dilettanti ed appassionati aumentò in tutto il paese, pur restando ispirato all’estetica tradizionale giapponese.
Un’evoluzione verso la fotografia moderna inizia nel 1932, con la pubblicazione di Kōga, dietro la quale c’erano le figure di Yasuzō Nojima, Iwata Nakayama e soprattutto Ihei Kimura, che svolse un ruolo molto importante nel periodo post-bellico come guida del movimento fotografico del paese.
Ma anche nel periodo precedente alla guerra e non solo a Tokyo, c’erano fotografi emergenti che si fecero conoscere, come Nakaji Yasui di Osaka e Osamu Shiihara. La devastazione seguita alla guerra mondiale consentì al reportage fotografico di dominare la scena per diversi anni, nonostante i numerosi sforzi per cercare nuove forme di espressione fotografica.
Una nuova generazione di fotografi, interessata anche all’aspetto commerciale della fotografia e non solo alla sperimentazione, nacque nel 1959 con l’agenzia LIVE di Shōmei Tōmatsu, Kikuji Kawada, Ikkō Narahara ed Eikoh Hosoe, un gruppo molto influente anche per le generazioni successive con un occhio critico della realtà, concetti chiari ed un vero e proprio senso della composizione e dell’inquadratura.
Nel 1968, emblematico anno di lotte e proteste in tutto il mondo, esce il primo numero della pubblicazione Provoke in tutti i circolo fotografici giapponesi, tra i cui membri c’erano Kōji Taki, Takuma Nakahira e Yutaka Takanashi; successivamente si unirà anche Daidō Moriyama. Il manifesto di Provoke dichiarava che le immagini visive non possono rappresentare completamente un’idea come possono fare le parole, ma le fotografie possono provocare linguaggio e idee, “ottenendo un nuovo linguaggio e nuovi significati”; il fotografo può catturare ciò che non può essere espresso a parole, presentando le fotografie come “documenti” che altri possono leggere.
Sempre nel 1968, un gruppo di giovani fotografi iniziò a chiamarsi Konpora, una contrazione giapponese stilizzata di “contemporaneo”. Le immagini del gruppo si distinguono per composizione, neutralità e per le scene di ordinaria vita quotidiana, apparentemente in contrapposizione a quelle del gruppo Provoke, eppure Takanashi è stato allo stesso tempo un collaboratore attivo di entrambi.
Comunque i fotografi del tempo non avevano molte possibilità per presentare i propri lavori al pubblico, potevano farlo attraverso poche pubblicazioni specializzate o nelle gallerie associate ai maggiori produttori fotografici come Canon e Nikon. Per poter ovviare a questa situazione, negli anni ’70 dello scorso secolo alcuni giovani fotografi decisero di aprire le proprie gallerie.
Questo però non bastò a smuovere il mercato fotografico nazionale, i fotografi che hanno contratti con gallerie in grado di commercializzare il loro lavoro sono molto limitati, la maggior parte espone in gallerie indipendenti o in spazi affittati in proprio e questa è una delle caratteristiche della fotografia giapponese ancora oggi.
Le innovazioni tecnologiche degli anni ’80 hanno portato la fotografia ad un livello di popolarità altissimo tra i giapponesi e negli anni novanta le nuove generazioni hanno sviluppato una vera passione per la fotografia, in particolare per quella molto personale. In quegli anni sono stati inaugurati molti musei di fotografia in tutto il paese ed è stato stabilito un sistema per misurare il valore storico ed artistico del mezzo, per questo la fotografia giapponese ha sviluppato una propria fisionomia nonostante un mercato debole ed è diventata un fenomeno di massa ma allo stesso tempo istituzionalizzato.
I fotografi giapponesi da conoscere
✅ Hiroshi Hamaya (1915-1999)
Nato a Tokyo, nel 1923 scatta le sue prime fotografie in cui riprende i lavori di ricostruzione dei quartieri danneggiati dal terremoto nella regione di Kantō, che costrinse la sua famiglia a spostarsi. A 18 anni inizia a lavorare in un laboratorio di fotografia aerea e successivamente presso la “Oriental Photo Industrial Company” per quattro anni.
Dal 1937 lavora come fotografo indipendente. Nel 1939, durante un lavoro a Takada per la rivista Graphic incontra l’antropologo Keizo Shibusawa, che lo incoraggia a realizzare uno studio etnografico sulle usanze e le tradizioni nei villaggi della prefettura di Niigata. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fotografa nuovamente il nord del Giappone, realizzando la famosa serie di fotografie “Village in the snow”. Dal 1950 inizia a documentare la vita nelle grandi città continuando a fare reportage sulla vita rurale giapponese.
È il primo asiatico ad entrare nell’agenzia Magnum, nel 1969, e nel 1987 riceve il premio della Fondazione Hasselblad. Tra le sue opere più note ci sono Yukiguni del 1957, Children in Japan del 1959 e Life of women in Japan del 1976.
✅ Yasuhiro Ishimoto (1921-2012)
Nasce a San Francisco da una famiglia giapponese dedita all’agricoltura ed a soli tre anni torna in Giappone coi genitori dove segue gli stessi insegnamenti. Nel 1940 fa ritorno negli USA per gli studi accademici, ma durante la guerra viene imprigionato in Colorado per la sua origine etnica.
Durante il suo soggiorno a Chicago nel 1946 inizia a scattare fotografie e nel 1948 lascia gli studi di architettura per dedicarsi a quelli di fotografia. Dopo alcuni premi, nel 1953 Edward Steichen lo sceglie per partecipare alla mostra The Family of Man come rappresentante della fotografia giapponese e poco dopo il MoMA di New York gli chiede di fotografare il palazzo imperiale di Katsura, in Giappone, lavoro che termina nel 1958.
Nel 1961 si trasferisce a Fujisawa, dove poi insegna in diversi istituti e università, finché nel 1969 decide di diventare cittadino giapponese. Negli anni ’70 viaggia in molti paesi di ogni continente e successivamente riceve numerosi premi e riconoscimenti.
✅ Shōmei Tōmatsu (1930-2012)
Studia fotografia in modo autodidatta durante gli studi universitari di architettura e nel 1959 fonda l’agenzia Vivo insieme a Ikkō Narahara e Eikoh Hosoe. Il suo lavoro era incentrato sul reportage sociale, come critica alla perdita di valori della società giapponese contro l’influenza americana. Innova la fotografia documentaria usando immagini simboliche e negli anni pubblica numerosi libri.
Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo e si possono trovare nel MoMA di New York, nel Metropolitan Museum of Photography di Tokyo, alla National Gallery of Canada o al Museum of Modern Art di San Francisco.
✅ Ikkō Narahara (1931)
Ikkō Narahara è un fotografo giapponese che si è distinto per i reportage che legano l’uomo al binomio natura/industrializzazione. Ha realizzato la sua prima mostra personale nel 1956 nella galleria Matsushima di Ginza dal titolo Ningen no tochi (Terra umana), nella quale mostrava il villaggio di Kurokamimura sul vulcano Sakurajima. Due anni più tardi la seconda mostra nel Salone Fotografico Fuji, nella quale ha mostrato la vita in un monastero trappista di Tōbetsu sull’isola di Hokkaidō e nel carcere femminile di Wakayama.
Nel 1959 fonda l’agenzia Vivo insieme a Shōmei Tōmatsu e Eikoh Hosoe. Visse a Parigi tra il 1962 ed il 1965 e a New York tra il 1970 ed il 1974, entrando così in contatto con diversi fotografi europei ed americani, partecipando anche ad un corso di Diane Arbus. Nel 1974 partecipa all’esposizione New Japanese Photography del Museo di Arte Moderna di New York e due anni dopo alla Neue Fotografie aus Japan di Graz, in Austria. In seguito esporrà anche in prestigiosi musei e gallerie di Londra, Seul, Tokyo, Parigi, etc, ricevendo numerosi riconoscimenti per le sue opere.
✅ Eikoh Hosoe (1933)
Inizia a fotografare durante l’infanzia e studia alla Scuola di Fotografia di Tokyo tra il 1951 ed il 1954, per poi lavorare come freelance e fondare l’agenzia Vivo nel 1959 insieme a Ikkō Narahara e Shōmei Tōmatsu. La sua prima mostra fu realizzata nel 1956 nella galleria Konishiroku di Ginza dal titolo An american girl in Tokyo. Negli anni sessante è un punto di riferimento per la fotografia innovativa in Giappone e nel 1963 pubblica il libro Barakei in collaborazione con Yukio Mishima, con il quale raggiunge il successo nel mondo per le immagini di nudi in bianco e nero con grande contrasto.
Pubblica anche altri libri, dove spiccano nudi e composizioni erotiche, lavori antecedenti a quelli di Robert Mapplethorpe. Nel 1964 visita Barcellona e rimane impressionato dall’architettura di Gaudí, tornando poi nel 1977 per fotografarla. Insieme a Nobuyoshi Araki, Daidō Moriyama, Noriyaki Yokosuka, Shōmei Tōmatsu e Masahisa Fukase fonda, nel 1974, la Photo Workshop School di Tokyo. In seguito continua il suo lavoro partecipando a numerose mostre, insegnando come professore e vincendo vari premi.
✅ Takuma Nakahira (1938-2015)
Dopo gli studi di spagnolo in cui si laurea nel 1963, Takuma Nakahira inizia a lavorare come autore della rivista di arte Gendai no me (Vista contemporanea) in cui pubblica con uno pseudonimo. Due anni dopo lascia la rivista per dedicarsi alla fotografia, diventando amico di Shōmei Tōmatsu, Shūji Terayama e Daidō Moriyama. Nel 1968, insieme a questi ed altri fotografi giapponesi, pubblica la rivista Provoke e nel 1971, dopo la fine delle pubblicazioni, espone alla Settima Biennale di Parigi.
Il primo libro fotografico pubblicato da Nakahira (Kitarubeki kotoba no tame ni) viene descritto come un capolavoro di riduzionismo ed incluso nel primo volume sulla storia della fotografia di Martin Parr e Gerry Badger (The photobook. A history.). Nella successiva pubblicazione però, nel 1973, cambia completamente stile fotografico ed abbandona ogni sentimentalismo, producendo una fotografia quasi illustrativa e didascalica.
✅ Daidō Moriyama (1938)
Ha studiato design ad Osaka ma nel 1961 si è interessato di fotografia, imparando da Takeji Iwamiya prima ed Eikoh Hosoe poi, al quale ha fatto da assistente. È stato tra i creatori del gruppo Provoke nel 1968 e tra i fondatori della Photo Workshop School di Tokyo nel 1974, insieme a a Nobuyoshi Araki, Eikoh Hosoe, Noriyaki Yokosuka, Shōmei Tōmatsu e Masahisa Fukase, dove il suo allievo principale è stato Keizō Kitajima.
Il suo lavoro è caratterizzato da una tecnica che usa spesso effetti sfocati nelle figure, sovraesposizioni e bianco e nero con forti contrasti, tanto da far sembrare le sue foto imperfette. Tra i temi che tratta c’è soprattutto la vita in città, con un linguaggio visivo radicale ispirato a Shōmei Tōmatsu ma anche Robert Frank, William Klein e Andy Warhol. Ha realizzato molte pubblicazioni e vinto vari premi, sia in patria che all’estero.
✅ Hiroshi Sugimoto (1948)
Sugimoto è un fotografo giapponese nato a Tokyo nel 1948, ormai da tempo stabilitosi negli Stati Uniti, di cui sono molto conosciute la serie “Dioramas” del 1976 e “Portraits” del 1999. Il suo lavoro si concentra sulla fotografia come capsula del tempo, ma anche sulla caducità della vita e sul conflitto tra la vita e la morte. È stato profondamente influenzato dagli scritti di Marcel Duchamp, dal movimento dadaista e surrealista, ma anche espresso un grande interesse per l’architettura moderna della fine del XX secolo.
Stimato per gli aspetti concettuali e filosofici del suo lavoro, è un fotografo rispettato anche per le sue alte capacità tecniche in quanto usa una macchina fotografica di grande formato 8×10″ con cui realizza esposizioni molto lunghe. La sua fotografia “Boden Sea” di una serie molto minimalista è stata scelta come copertina dell’album degli U2 “No Line on the Horizon”.
✅ Shōji Ueda (1913-2000)
Ueda è stato un fotografo giapponese che ha realizzato la maggior parte delle sue opere in un raggio di 350 chilometri nella parte centro-meridionale del Giappone, tra le prefetture di Tottori, Hyōgo e Yamaguchi. Nel 1932 ha iniziato gli studi presso la Scuola di Fotografia Orientale di Tokyo e l’anno successivo ha aperto il suo studio fotografico, per poi aderire all’Associazione Fotografica Giapponese. Nel 1937 è stato uno dei fondatori del gruppo fotografico Chūgoku Shashinka Shudan insieme ad altri fotografi giapponesi conosciuti, con l’intento di diffondere la fotografia come arte.
Nel 1947 è entrato nel gruppo Ginryūsha e in quegli anni ha iniziato a fare fotografie alle dune di Tottori, che formavano una parte importante del suo particolare universo espressivo, dal 1951 divenute poi teatro dei suoi nudi. Nel 1960 realizza una mostra al MoMA di New York, per esporre nei decenni successivi in prestigiose mostre in diversi luoghi del mondo. Nel 1995 è stato aperto nella città di Hōki il Museo della Fotografia Shōji Ueda, con gran parte delle sue opere.
✅ Nobuyoshi Araki (1940)
Araki è un fotografo ed artista contemporaneo di Tokyo. Ha studiato fotografia all’università per poi lavorare nell’agenzia pubblicitaria Dentsu, dove conobbe la futura moglie Yoko. Dopo il matrimonio ha pubblicato un libro di fotografie della moglie, scattate durante la luna di miele, intitolato Sentimental Journey. La moglie muore nel 1990 a causa di un cancro e le immagini dei suoi ultimi giorni sono raccolte nel libro Winter Journey.
Il suo lavoro ha sempre avuto grande notorietà tra il pubblico giapponese ed internazionale; le sue fotografie, sempre accompagnate da testi in forma di diario intimo, erano innovative tra le tendenze artistiche del momento. Nel 1980 Araki pubblica Tokyo Lucky Hole, una raccolta di fotografie che documentavano l’industria del sesso giapponese e centrato sul quartiere Kabukichō di Shinjuku a Tokyo. Araki, che ha pubblicato più di 350 libri, è stato assiduamente accusato di misoginia da gruppi femministi per le sue fotografie di donne legate secondo il tradizionale ed antico stile giapponese del kinbaku.
✅ Yutaka Takanashi (1935)
Takanashi è un fotografo giapponese riconosciuto per la sua focalizzazione sullo spazio urbano e sul cambiamento di Tokyo, sia sulla fisicità degli spazi cittadini che sullo stile di vita dei suoi abitanti. Realizza la sua prima mostra nel 1960 con la serie “Somethin’ Else”, presentando opere della stessa serie anche nella seconda esposizione, con immagini frontali di edifici scattate con una fotocamera a grande formato 4×5″. Era un membro del gruppo che ha prodotto la rivista Provoke nel 1968 e nel 1969, ma le sue fotografie differivano da quelle dei suoi compagni per essere immagini realistiche.
Le sue immagini riflettono un periodo di transizione del Giappone, nel quale il paese ha assunto il ruolo di potenza economica mondiale, ma sperimentando la contaminazione della cultura occidentale. Le sue fotografie granulose rappresentano il contrasto tra il periodo tradizionale e quello moderno del Giappone attraverso i paesaggi naturali, quelli urbani e le scene in strada.
✅ Issei Suda (1940)
Issei Suda si è laureato nel 1962 alla Scuola di Fotografia di Tokyo. Dal 1967 al 1970 ha lavorato alle riprese del gruppo teatrale Tenjō Sajik, per poi fare il fotografo freelance dal 1971. Il lavoro di Suda è considerato una forma d’arte drammatica molto marcata, influenzato proprio dal lavoro nel teatro degli anni precedenti, con immagini ad alto contrasto in pellicola 6×6″ che divennero un suo sinonimo.
Le sue opere hanno origine nel movimento cosiddetto Konpora, realizzare immagini dell’ordinario, del quotidiano, in composizioni semplici e dirette. A questo approccio Suda aggiunse anche un aspetto misterioso delle sue fotografie.
✅ Miyako Ishiuchi (1947)
Miyako Ishiuchi, donna in un panorama fotografico giapponese dominato dagli uomini, inizia a fotografare nel 1975. La sua prima pubblicazione, Yokosuka Story, rappresenta uno studio sul suo luogo di nascita, un’esplorazione a lungo termine delle tracce del tempo, che nel 1979 gli valse il Kimura Ihei, il premio più alto in Giappone per la fotografia.
Nella prima trilogia cerca di esplorare la città attraverso segni e ricordi, nelle serie successive ha fotografato la mani ed i piedi delle donne della sua età, continuando a fotografare cicatrici e primi piani di corpi femminili. Il suo lavoro con stampe di grandi dimensioni molto granulose era caratteristico di molti fotografi degli anni 60-70 che scelsero quello stesso stile. Dal 1977 ha tenuto oltre venti mostre individuali ed ha riempito il padiglione giapponese alla Biennale di Venezia del 2005 con un’installazione fotografica e video di sua madre.
Molto prestigiose anche le esposizioni seguenti e le sue fotografie sono nelle collezioni del MoMA e del Metropolitan Museum of Art di New York, del Tokyo Metropolitan Museum of Photography, del Museum of Modern Art di San Francisco ed altri famosi musei di Tokyo e nel mondo.
✅ Masao Yamamoto (1957)
Yamamoto è un fotografo giapponese indipendente che ha iniziato gli studi d’arte come pittore. Attualmente usa la fotografia per catturare immagini che possono evocare ricordi, sfuma il confine tra pittura e fotografia sperimentando con superfici stampate. I suoi temi includono nature morte, nudi e paesaggi, realizza installazioni artistiche con piccole fotografie per mostrare come ogni immagine sia parte di una realtà più grande.
Di Yamamoto si è detto che non è solo un fotografo, ma anche un filosofo e un poeta. Le sue piccole opere costituiscono tesori individuali, piccoli oggetti che custodiscono l’essenza creativa dell’autore, con lo scopo di riflettere il collegamento esistente tra essere umano e natura. Le sue piccole foto sembrano vecchie di decenni, ma è lui che segue un procedimento per renderle tali: le porta in giro con sé, le strofina con le mani, finché il risultato non è quello desiderato.
Costruisce una storia collegando diverse piccole foto, ma non in ordine cronologico, inizia casualmente senza sapere quale sarà la storia da raccontare e prende significato in corso d’opera. I suoi lavori fanno parte di molte collezioni dei musei di arte e di fotografia in varie città degli Stati Uniti.